Assedio al Kaelih

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Rostislav666
view post Posted on 6/1/2009, 20:07




attualmente sn al lavoro sul 3 capitolo
CAPITOLO 1
La luce decadeva pian piano sull'orizzonte e gli ultimi raggi del sole abbracciavano le radure circo-stanti. Sembrava che la vita di tutto il mondo si preparava anch’essa per tramontare e immergersi nel profondo riposo notturno. Perfino il vento che era il solito a portare il freddo all'inizio di primavera era taciturno e rispettava il silenzio della terra e di coloro che ci abitano. Nulla si muoveva, tranne un viandante che con il passo veloce ma appesantito probabilmente dalla stanchezza attraversava quelle radure.
Lunghi lisci capelli castani brillavano sotto gli ultimi raggi del sole morente. Gli occhi dello stesso colore dei capelli erano opachi e non esprimevano nessun'emozione visibile quasi fossero quelli d un morto. I lineari lineamenti del volto erano aggraziati da degli occhi ben distanziati e dalla bocca larga e fine. La barba era completamente assente, e ciò faceva capire che egli apparteneva alla razza degli elfi. La maglia nera e il pantalone verde scuro, lo faceva mischiare con la natura. I piedi coperti da dei stivali in pelle d’orso si muovevano con stanchezza, ma allo stesso momento con determinazione. Una cinta sul petto nascondeva due piccoli pugnali e alla vita una cintura conte-neva una spada bastarda appesa a essa. Il manico rilegato con pelle di colore nero brillava e il pomo rotondo luccicava per salutare il sempre più spento sole. Attorno al collo c’era un appeso un ciondolo che raffigurava un drago verde cavalcato da un cavaliere dorato.
Man mano che, le nere ali della notte avvolgevano il mondo, il passo del viaggiatore diventava sempre più lento e più debole. Infine quando tutte le contee furono illuminate tramite la fioca luce della pallida sorella luna, anche il viaggiatore ci corico e si addormento in un sonno molto debole, ogni minimo rumore sconosciuto era percepito dallo sviluppato udito che possedeva la razza degli elfi.
I primi raggi del sole arrivavano caldi e avvolgenti. La natura si svegliava e nell’aria si sentiva il dolce cantare degli uccelli. Dalle appena svegliate foglie, cadeva la rugiada mattutina e tutti gli a-nimali notturni ora se ne stavano nascosti nei buchi più bui della pece, in attesa che le tenebre scendono di nuovo.
Il viandante era già all’erta e si preparava per proseguire il proprio cammino verso una meta lonta-na. I piedi stanchi dalla fatica ormai meccanicamente facevano gli stessi movimenti e passo dopo passo, chilometro dopo chilometro l’avventuriero che qualcosa non andava bene. Nell’aria si sentiva l’odore della morte e del sangue. Verso il mezzo dì l’elfo attraverso il confine del regno di Dourin e s’incammino nel regno di Klaern, un vecchio e saggio re che per tutta la vita non fece altro che far progredire il so popolo, cercando di fare meno guerre possibili.
Al nuovo arrivo della notte il viaggiatore non si corico, ma anzi, aumento il proprio passo. L’acre odore del sangue saliva fin nelle narici e perforava i polmoni a tal punto che respirare, diventava una vera e propria impresa.
Mentre l’elfo saliva su per la collina, alla debole luce lunare vide due figure sedute schiena contro schiena. Cauto come un gatto che vuole acchiappare un topo, il viaggiatore si avvicino ai due. I due conversavano.
- Ricordi quando siamo partiti dal villaggio? Quando eravamo tutti uniti, pieni di speranze?- disse l’uomo alla destra, quello più alto.
- Già, peccato poi che la giovinezza passa cosi velocemente che dopo non ti accorgi di quanto sia breve la nostra vita. Sai… mi manca un po’ la mia casa, le risate, le feste. Mi manca davvero- disse il compagno con aria triste.
Il viaggiatore si fece avanti sguainando la propria spada.
- Tu chi sei? Un nemico?- chiese il più basso dei due compagni.
- Dipende da ciò che intendi per amico o nemico. Pero credo che non sono ne uno e ne l’altro. Ditemi una cosa, perché questo posto ha un odore di sangue e di morte? Ci è stata una guerra?- rispose il viaggiatore avvicinandosi e riponendo la spada nella guaina.
- Una guerra dici? Sì, ci è stata ed è già finita. Noi apparteniamo all'esercito di Klaern. Siamo i pochi sopravvissuti. Il mio nome è Dalir Rowth e il mio amico si chiama Feraliot Getoch, entrambi proveniamo dalle isole del sud est di Efin. E tu come ti chiami?- chiese Dalir con una certa curiosità nella voce.
- Il mio nome è Vaior Fourint, sono un elfo dei boschi venuto dalle terre lontane. Passando per queste terre ho sentito un forte odore del sangue e della morte. Voi siete feriti ?- domando gentilmente Vaior.
- Non preoccuparti, è tutto a posto. Soli graffi. Pero una richiesta avrei. Mica hai un po’ di ci-bo? Sono due giorni che non tocchiamo cibo e stiamo morendo di fame. - disse Feraliot con voce quasi implorante.
Vaior mise a terra i suoi averi e da una tasca estrasse due pezzi il pane con della carne secca. Li diede ai due amici, che, divorarono i due pezzi di pane in pochi istanti. I loro volti erano oscurati dalla notte, ma già si poteva notare una profonda stanchezza pesare su di loro.
- È il pane elfico, con la carne dei nani. Questo basterà per togliervi la fame per un altro gior-no. Ora è notte ed è meglio dormire, il mattino è sempre più saggio della notte.-disse, Vaior e si corico a dormire, e cosi fecero anche gli altri due.
La notte passò calma e senza nessun imprevisto. Il mattino arrivo accompagnato da un bel sole che, con i suoi primi raggi del mattino riscaldava i tre. Ogni animale si svegliava per i-niziare una nuova vita. Un dolce vento soffiava dal sud e riscaldava i volti dell'elfo e dei due avventurieri.
I tre si svegliarono e con tutta la calma in loro possesso prepararono la colazione, una cosa veloce e leggera per non perdere molto tempo. Ora i due guerrieri apparivano pieni di forze. Dalir Rowth era alto più di un metro e ottanta, capello castano chiaro erano lunghi e lisci e scendevano fino alle spalle. Gli occhi azzurri erano freddi come il ghiaccio, pareva che nessun emozione potesse uscire da quei occhi. Il volto dai lineamenti lineari appariva come quello di un fanciullo, giovane e pieno di speranze, anche se guardando bene si poteva capire che la sua giovinezza era passata oramai da un pezzo. Le mani erano di un colui che portava addosso a se tanta fatica e tanta responsabilità. Il petto era coperto da una cotta di maglia che a sua volta era ricoperta da una maglia verde scuro con un falco inciso sopra. I pantaloni di pelle erano neri con delle tasche larghe che contenevano diversi oggetti di prima necessita. Alla vita c’era appesa una spada in guaina. Il manico coperto di pelle nera era una chiara fabbricazione dei nani, il pomo quadrato invece era molto raro ed era difficile capire da dove provenisse la spada poiché ogni pezzo d’essa sembrava appartenere a una razza diversa. Dalla parte opposta alla spada, c’era appeso un lungo coltello che però si poteva notare subito la fabbricazione umana.
Il suo amico era più alto di circa cinque, sei centimetri. Capelli castani molto riccioluti cade-vano fino alle spalle come al suo amico, a differenza di Dalir erano legati con un nastro nero cosi da formare la coda di cavallo. Occhi castani, distanti fra loro davano al viso dai dolci lineamenti un'aria di un giovanotto. Addosso aveva una protezione per il petto in metallo che copriva la visibile maglia nera con sotto una cotta di maglia. Le gambe erano coperte da dei pantaloni uguali a quelli del suo amico. Alle spalle pendeva un arco corto con la faretra appesa al fianco sinistro della vita. Al fianco destro c’era una spada a due mani. Il pomo rotondo era reso più bello da una pietra preziosa incastrata nel suo interno, il manico tutto coperto dalla pelle verde che probabilmente apparteneva a un drago sembrava essere o-ramai vecchio da molti anni.
- Allora, eccoci qua, il mattino è arrivato.- disse Vaior alzandosi dal erba e preparandosi a partire.- Peccato che tra un po’ arriverà un temporale. Però forse ora ci vuole proprio un bel temporale per levare quest’odore del sangue e della morte di cui l’aria è impregnata.
- Ti ringraziò per la tua gentilezza, non ci conoscevi nemmeno e ci hai dato da mangiare.- esclamò Dalir con la mano protesa verso l’elfo, che la strinse con determinazione.
- Guarda che se avrei percepito un minimo pericolo vi avrei già uccisi senza pensare- ribadì Vaior sguainando la propria spada, che, ora alla luce del sole appena nato sembrava tanto lucente da poter battere addirittura la luce solare. – Pero in voi non ho visto nulla di sbagliato o cattivo, semplicemente la tristezza.
- Sei davvero saggio tu Vaior Fourint, è un vero piacere conoscere di tanto in tanto gente in gamba. Di solito ora sono tutti menefreghisti e pensano solo agli propri affari, ma tu ci hai aiutato. Se in qualche modo possiamo sdebitarci, dicci.- disse Feraliot alzandosi anch'egli in piedi.
Tutti sembravano pronti a partire, verso una metà che non è stata ancora decisa.
- Beh… un favore mi potreste fare.- disse Vaior. – Potreste dirmi dove si trova il castello di Klaern. Dovrei arrivare li.
- Allora, i nostri cammini non si separano. Anche noi ci dobbiamo dirigere verso il castello in quanto siamo i pochi superstiti della battaglia.- rispose Dalir
Senza troppe parole essi si misero in cammino, e già dopo i primi chilometri si vedevano che ciò che dicevano i due amici era vero. Tanti cadaveri, uno sopra al altro, sangue che scorre dai cumuli dei uomini uccisi. Alcuni erano moribondi che chiedevano pietà, le loro lame essi le stringevano forte nel proprio pugno, sembrava che il valore della propria lama valesse più della propria vita. Le loro labbra erano secche e l’unico liquido che ci usciva è il sangue.
- Questi sono i nostri nemici.- disse con amarezza Feraliot – In mezzo a loro ci sono anche i nostri compagni. Vedi… io non vedo in quei uomini nemici, e l’unico motivo per cui li ucci-devo durante la battaglia e perché serviamo due signori diversi. Potevamo pure essere dei grandi amici, ma quando saremo stati in battaglia saremo stati solo due professionisti che lavorano per due fazioni diverse, niente di più e niente di meno. Alla fine anche se uno di noi dovesse morire lo avrei sempre considerato un mio amico.- spiegò guardando con a-marezza i guerrieri che imploravano l’aiuto.
- Dobbiamo aiutare a qualche soldato- disse Vaior avvicinandosi a uno d’essi. All’improvviso egli senti una mano tirarlo via da una morte imminente. Un soldato cercava di conficcare la propria spada nel petto dell’elfo. Egli mancò il colpo e si è messo a piangere come un bambino che non ha ricevuto il suo giocattolo, ma in quel pianto disperato si celava anche un altro sentimento, lo sentimento di non aver ucciso l’ultimo uomo nella sua vita. Sapeva che presto la morte lo avrebbe raggiunto e che non aveva nessuna possibilità di rivedere per l’ultima volta la propria famiglia.
Dalir sguainò la spada e tagliò al uomo la testa. Tutto accadde in pochi istanti e i suoi mo-vimenti sembravano invisibili. Pulì la lama della propria spada con i vestiti del appena de-capitato nemico e rimise la spada nelle guaina.
- Era necessario uccidere quell’uomo?- chiese Vaior stupito dal gesto e dalla velocità del nuovo amico
- Uccidere un uomo che sta per morire non piace nemmeno a me, ma ti ha attaccato e non poteva essere lasciato in pace. Attento a dove metti i piedi, qui ci sono tanti vivi, alcuni nostri alleati. Ora sono in stato di premorte e non gli importa a chi devono uccidere, basta che fanno un ultima vittima. Già, è questo uno degli strani insegnamenti, uccidi in guerra finche le forze ti danno la forza di reggere una spada in mano- rispose Dalir.
- Questi insegnamenti imparano su come vincere una battaglia, guerra o qualunque cosa si volesse vincere. Ma allo stesso tempo grazie a questo e ce ne sono molti altri insegnamenti i soldati diventano marionette. Sai, questi i cosi detti insegnamenti vengono impartiti appena si entra a far parte dei soldati. Ogni giorno, dal mattino alla sera devi pensare a quelle parole che un qualche saggio ti diceva.- spiegò Feraliot
- Capisco, senza nessuna offesa, ma ai miei occhi voi apparite come dei cani del governo.- critico Vaior
- Infatti, è proprio quello che siamo, dei cani. Dei cani che il re accudisce quando gli serviamo e quando non gli serviamo più ci butta via.- disse Dalir
La giornata passò in un lungo cammino in mezzo ai cadaveri delle persone e di alcuni an-cora vivi, che aiutavano altri compagni ad alzarsi. Sembravano non curarsi della presenza dei tre viaggiatori, ogni uno di loro era occupato a leccarsi le proprie ferite e quelle dei amici più mal ridotti d’essi.
Il sole rosso tramontava silenzioso e lento dietro all’orizzonte, il cielo era color rosso sangue. Sembrava che anch’esso onorava i caduti della battaglia dei giorni passati. Gli uccelli e altri animali erano tutti pronti dell’arrivo della sera, in questo modo potevano finire gli ultimi vivi e fare di loro un pasto. Il vento ora iniziava leggermente soffiare dal nord, portando con se il vento freddo, tagliente come le lame di un pugnale ben affilato. Gli alberi piangevano e il loro pianto era ben udibile anche al orecchio umano, un pianto disperato verso tutti i caduti nella battaglia.






















CAPITOLO 2

Le mani stringevano forte il manico della spada, la lama scintillava sotto i raggi del sole na-scente. Dalla bocca uscivano urla quasi disumane e gli occhi azzurri, soliti ad essere di ghiaccio emanavano la rabbia che sembrava appartenere ad un orcho o ad un troll. Lunghi capelli castani, lisci come la seta scendevano fino alle spalle mostrando il viso del guerriero ancora più rabbioso. Un completo composto da dei pantaloni neri e una maglia verde scuro abbellivano il robusto corpo del guerriero. Forse il suo aspetto era il più bellicoso e faceva più impressione degli altri, nonostante addosso aveva dei vestiti come tutti gli atri diecimila.
- Coraggio! Stasera non è l’ora di perire, stasera balleremo sui corpi dei nostri avversari. por-tate rispetto verso loro. Noi diecimila guerrieri staremo spalla a spalla per difendere un compagno. Pensate alle vostre famiglie, vostri figli, genitori e mogli. State combattendo per loro, per dare a loro un posto migliore dove vivere la loro vita. Combattete per loro!!!- disse l’uomo con la spada sguainata, il suo sguardo si accese ancor di più.
- Pronunci delle parole che vanno contro il tuo io. Lo sai vero?- chiese un uomo vicino al compagno. Un imponente figura, più alto del suo amico. Capelli ricci castani lunghi fino alle spalle erano legati assieme a formare la coda di cavallo. Viso fiero, non trasmetteva un bri-ciolo di paura, pero in fondo al anima egli tremava come una foglia d’autunno. Vestito con un armatura metallica. La sua spada se ne stava ancora tutta tranquilla dentro il suo fodero.
- Già. Lo so bene. Ma queste persone hanno bisogno di una spinta. Non hanno grinta.- ri-spose tranquillo l’amico. – Feraliot… voglio che tu stia al mio fianco in questa battaglia.
- Va bene, Dalir lo sai che dopo tutto ciò che abbiamo passato staremo fianco a fianco fino a che una spada nemica non spegnerà una delle nostre vite. E non credo che ciò accadrà oggi, non mi va di morire proprio oggi.-disse l’amico sguainando la propria spada, che ai ul-timi raggi del sole scintillo come per dire che era d’accordo con il proprio padrone. Su cui viso comparve un appena visibile sorriso.
Abbracciati dagli ultimi raggi del sole l’esercito si mosse contro il nemico dal altra parte della pianura. Nessun albero, solo l’erba verde ad accompagnare i giovani guerrieri, solo l’erba sarà la crudele spettatrice del massacro che sta per iniziare. Alcuni cantavano delle canzoni sulla bella vita e sulla casa per mettere su di morale gli altri, ma in fondo anche loro dal aspetto allegro avevano paura. Un timido vento soffio dal nord portando con se il suo gelido vento. In alto nel cielo degli stormi degli uccelli erano già pronti a balzare sui cadaveri dei soldati sconfitti. Tutta la natura era pronta per assistere alla battaglia, nessuno voleva fermarla.
Un canto si levava alto nel cielo per trafiggere il cuore nemico:
Che il cielo e la luna siano giusti stanotte,
restiamo fianco a fianco, spalla contro spalla,
per difendere il re, per la patria.
Forse stanotte sarà l’ora di perire come i cani,
forse sarà vittoria sicura o quasi.
Scudo vicino al compagno ,
spada che trafigge carni.
Dalla mia lama gocciola il sangue del nemico.
Dalla mia bocca esce un urlo mai sentito.
Abbiamo cavalcato i nostri cavalli per giorni,
prestando la loro liberta.
Ora siamo qui, pronti anche al peggio.
Ma tanto noi non moriremo mai,
nel trionfo noi galleggeremo.
Il nemico abbatteremo per tornare dai nostri cari.
La rabbia degli dei scorre nelle mie vene,
la giustizia della bilancia è nei miei occhi.
A casa ci sono persone che credono in me.
Un nemico dopo l’altro cade ai miei piedi,
mi implorano pietà, e gli la do mandandoli nel cielo.
L’esercito nemico sembrava non prendere nemmeno in considerazione il canto dei soldati di Dalir, che in testa all’esercito si spingeva sempre più vicino al nemico. Le frecce dei archi dei nemici le scagliavano contro l’esercito ormai quasi vicino e abbattevano le prime file dei nemici. Non appena i due eserciti si scontrarono ci fu come tuono nel cielo e dopo di che un scintillio di spade e lance, urla quasi disumane e il rumore del metallo accompagnavano il combattimento. Tanti soldati peri-rono ancor prima di arrivare sul campo, inciampando e venendo calpestati dai propri compagni in-consci. Poco dopo l’inizio della battaglia il campo inizio a riempirsi delle pozze di sangue in cui gal-leggiavano i corpi dei giovani soldati. Dalir e suo amico Feraliot fianco a fianco macellavano i ne-mici dirigendosi sempre più nel cuore del esercito nemico. Dietro a loro c’erano i guerrieri più fedeli e più forti e anche loro senza una minima ombra di sentimento verso il nemico massacravano i nemici a destra e a manca.
Con la notte arrivo anche un combattimento un po’ più placato perché siccome la visibilità era ri-dotta al minimo, i soldati dovevano essere sicuri che colui che stavano per colpire era un nemico e non un alleato. Quell’erba verde ora si era trasformata in fango rosso e molti dei combattenti fini-vano per scivolarci sopra e ritrovarsi ad un passo più vicini alla morte. La pallida luce della luna il-luminava le punte delle spade, delle lance e dei elmi dei soldati ed un vento ancora più forte soffia-va dal nord, gelando sia i polmoni che le ossa. Il corpo diventava una macchina che ormai oltre il disgusto e la pietà mandava i fendenti per colpire i nemici vicini. Alcuni iniziarono a scappare per-che avevano troppa paura di morire in battaglia con i propri compagni, ma non riuscivano a rag-giungere nemmeno la fine delle pianure che una freccia gli si conficcava nel petto mandandolo a dormire con i propri compagni, ma in modo più disonorevole.
Dopo un giorno e una notte di lotte e morti, il combattimento inizio a essere più frenetico. Tutti si divisero in gruppi e come per ordini combattevano in zone diverse. Feraliot e il suo amico sempre spalla contro spalla, spada contro spada erano ancora vivi e combattevano assieme ad altri venti guerrieri fidati. I nemici erano stanchi quanto loro e il loro modo di combattere diventava sempre più lento e i colpi sempre meno precisi. Mentre Dalir sembrava che diventasse sempre più aggressivo. Sembrava che gli occhi non distinguessero nemici da alleati, eppure mai aveva colpito un suo alleato. La sua figura ora non era quella di un umano,pareva un demone. La pelle diventava pallida e le mani stringevano la spada con tale forza che le dita divennero bianche. I nemici alla sua vista cercavano di sfuggire perché la figura di Dalir metteva impressione.
Feraliot d’altra parte non scherzava. Sembrava un drago che balzava addosso ad ogni nemico nella sua vista. La spada trafiggeva i nemici lasciandoli a terra moribondi nella loro pozza di sangue. I due compagni erano i protagonisti di quel massacro, e nemmeno gli alleati avevano tanto coraggio da avvicinarsi tranquillamente.
Dalir si svegliò con i primi raggi del sole, sulla fredda terra. Tutt’attorno a lui era ricoperto di sangue e dei cadaveri di quelli che chiamava nemici e anche di quelli che lo accompagnarono nella batta-glia con il nome dei alleati. Una fitta nebbia copriva la vista e oltre agli urli e agli lamenti non si riu-sciva a distinguere niente. Dal prese la sua spada e appoggiandosi ad essa si alzò in piedi. Dinanzi a lui c’era il suo amico, occhi spalancati che fissavano il vuoto, la spada appoggiata al petto come in segno che stava per morire.
- Stai tutto intero?- chiese Dalir al suo amico.
- Non si può dire che sto bene, ma non sto nemmeno morendo.- rispose Feraliot - mi sono svegliato con la spada sul petto. Penso che mi avevano preso per un defunto.- disse con un sorriso.
- Io non mi ricordo come sono svenuto, ma ricordo per certo che non è per mano di un nemi-co.- confermò l’amico
- Stessa cosa vale anche per me. Pero te lo devo dire, durante il combattimento non eri tu. Era come se un'altra persona si fosse impossessata di te e ti manovrava. Sembravi un de-mone.- disse Feraliot guardando l’amico con una certa ammirazione.
- Sai, in quel momento pensavo d’avere tutte le forze degli dei. I miei muscoli erano pieni come non mai e la lama era affilata come mai era stata prima. Forse è solo una mia imma-ginazione, ma sembrava che fosse veramente cosi. È la cosa brutta e che mi piaceva quel stato, potevo fare tutto quello che volevo, nessuno mi poteva fermare. Era la prima volta che mi sentivo cosi, felice di combattere.- disse con un tono d’amarezza Dal. Guardò le proprie mani e poi aiutò il suo amico a rialzarsi da terra. Senza pronunziare più una parole i due si misero in cammino dalla parte opposta al campo di battaglia.



 
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